Diamanti di conflitto, diamanti di sangue: cosa sono?
Cosa sono esattamente i diamanti di conflitto, e perché hanno un tale impatto? Il dibattito su ciò che costituisce un diamante di conflitto (o diamante di sangue, diamante insanguinato) è ampio e ancora aperto.
Il ruolo estremamente determinante che questo bene di lusso, il diamante, ha avuto ed ha tuttora in alcune guerre civili africane, ci fa capire che le due realtà, conflitto armato e diamanti, non possono essere separate. Se paesi come la Sierra Leone e l’Angola sono usciti dalla spirale di sangue generata dai diamanti, la Costa d’Avorio vi è appena caduta, e il Congo-Kinshasa non riesce a tirarsene fuori. La definizione di diamanti di conflitto non dovrebbe prendere in considerazione solo l’Africa, ma anche ad altre aree del mondo; però è in Africa che questo fenomeno si presenta in tutta la sua drammatica evidenza.
Quei diamanti che sono prodotti in zone conquistate e controllate da forze ribelli che si oppongono a governi legittimamente eletti o per lo meno riconosciuti dalla comunità internazionale, o quei diamanti che in ogni caso possono collegarsi (per mezzo del loro commercio, contrabbando, utilizzo) a gruppi ribelli e eversivi, sono da definire diamanti di conflitto.
L’ONU si è sforzata di giungere a una definizione che accontentasse tutti. La risoluzione 55/56 dell’Assemblea Generale del 1/12/2000 afferma: “Il commercio dei diamanti di conflitto è un motivo di seria preoccupazione internazionale, che può essere direttamente legata al fomento e al sostegno di conflitti armati, di attività di movimenti ribelli miranti a rovesciare governi legittimi, di traffici illeciti di armi, soprattutto leggere”.
La riunione di Interlaken del Gruppo di Lavoro del “Kimberley Process Certification Scheme”, del Novembre 2002, così li definiva: “Diamanti di conflitto sono diamanti grezzi che sono usati da movimenti ribelli per finanziare le loro attività militari, incluso indebolire e rovesciare governi legittimi”.
I diamanti sono una forma di ricchezza altamente concentrata, perché localizzata solo in aree geografiche molto circoscritte. Il loro sfruttamento può offrire profitti enormi. Oltre a ciò, i diamanti sono di piccole dimensioni, e facili da nascondere. Possono essere estratti per mezzo di sofisticate tecniche e costosissime apparecchiature, ma anche scavati manualmente con mezzi semplici e a nessun costo.
D’altro lato, gli eserciti ribelli hanno bisogno di finanziamenti per comprare armi e munizioni, per pagare e nutrire le truppe e mantenere vive le alleanze strategiche. Dalla fine della guerra fredda, i protagonisti delle guerre civili africane non hanno più accesso ai fondi delle due ex-superpotenze necessari a mantenere l’apparato militare o il regime politico. Per alimentare le proprie guerre, questi paesi hanno dovuto ripiegare su quei beni che, prodotti localmente, sono facilmente piazzabili sul mercato internazionale e convertibili in divisa, come il legname pregiato, l’avorio, l’oro e, appunto, i diamanti.
Le guerre civili dell’Angola, della Sierra Leone e del Congo sono stati, fino a tre anni fa, l’esempio più palese dell’uso dei diamanti da parte dei ribelli per condurre la loro guerra contro i loro governi.
Un illustrazione inequivocabile di questo fenomeno dei diamanti di conflitto è l’introito sbalorditivo che l’UNITA, il movimento ribelle angolano, è stata capace di generare in soli sei anni di estrazione dei diamanti della Provincia della Lunda Norte: 4 miliardi di dollari, cioè una quantità di denaro decisamente superiore al totale di tutti i finanziamenti ricevuti dai governi occidentali (USA, Sudafrica, Francia) che l’hanno appoggiata durante gli anni della guerra fredda!
Grazie al finanziamento dei diamanti di conflitto, l’UNITA è stata in grado di mantenere attivo un sofisticato apparato militare, che ha vanificato per anni ogni sforzo di pacificazione e riconciliazione nazionale. Nella Sierra Leone, il RUF, Revolutionary United Front, grazie al traffico di diamanti di alto valore che produceva e commerciava, da armata brancaleone si è potuto trasformare in un’esercito moderno, letale, sofisticatamente equipaggiato.
E non si pensi che il binomio diamanti-ribellione sia solo un episodio del passato. L’attuale guerra civile della Costa d’Avorio è alimentata dall’esportazione illegale dei diamanti estratti artigianalmente nella zona del paese controllata dai ribelli. Stati confinati come il Mali e il Burkina Faso sono all’improvviso diventati produttori di diamanti! Attraverso le frontiere nord-occidentali della Costa d’Avorio escono i diamanti ed entrano le armi per l’esercito ribelle.
E nel Congo-Kinshasa i diamanti sono una delle preziose materie dell’est del paese, il controllo delle quali mantiene attive diverse fazioni di ribelli, non ancora totalmente piegate al governo e all’esercito centrale.
In Angola, come pure in Sierra Leone, da un paio d’anni le armi sono state riposte, il paese è pacificato, il governo legittimo ha preso il controllo di tutto il territorio, ma le tensioni e il conflitto sociale generato dal commercio dei diamanti sono ancora latenti. Il ritorno alla pace sociale, alla democrazia, alla libertà e all’uguaglianza per tutti i cittadini, è un processo ancora difficile, una meta ancora vaga e incerta. I diamanti estratti e commerciati da questi paesi africani non hanno ancora smesso di trasudare sangue.
Tratto da: Afriche n° 72
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